Fogli Innamorati
By: فاتحة مرشيد
Il teatro dell’amore
Giacomo Trinci:
Fatiha Morchid ci regala con questo libro, Fogli innamorati, uno splendido sgargiante canzoniere d’amore diviso in quattro parti, come gli atti di un’opera lirica; il teatro si offre infatti come il paragone più giusto e preciso a designare la struttura drammaturgica di un poeta-personaggio che possiede nel suo canto la sua alta capacità di strazio parlando, si potrebbe dire, per bocca altrui, con la consapevolezza cioè che il sentimento più esclusivo e patetico è nello stesso tempo, in quanto condiviso nel tempo e nello spazio da chissà quant’ altri, quello vestito e travestito in vari personaggi, e la parola vergine è anche quella più usata da altri prima di noi: noi non siamo padroni del nostro linguaggio, insomma. Lezione di profonda umiltà che ci viene appunto dalla poesia, da questa poesia di Fatiha Morchid in particolare.
Tutto questo coincidere fra esistenza e retorica, vita e letteratura, diventa tipico della grande poesia d’amore. A questo proposito, mentre leggevo con ansia e ingordigia i versi di Fatiha Morchid e ne ammiravo l’asciutta scansione, mi venivano in mente i versi di un grande artista italiano del Rinascimento, i versi di Michelangelo Buonarroti, quando chiudeva una sua poesia con questa domanda legata al mistero dell’amore e ai suoi effetti sul soggetto: “Come può esser ch’io non sia più mio?”. Ebbene, questo spossessamento del soggetto non riguarda solo esistenzialmente il poeta d’amore, che vive “la soave malattia” come la chiamava Platone quasi straniandosi da se stesso, vivendo d’altra vita, come spesso si dice, ma anche o soprattutto retoricamente il suo linguaggio, fatto di parole che sono state tutte quante adoperate prima e che trasformano la materia rovente e dura d’angoscia dell’esperienza amorosa in “teatro di affetti”, repertorio di tensioni, slanci, riposi.
Ecco quindi il senso di quel soggetto che non è più solo se stesso, ma è anche altro, personaggio che traveste il suo corpo d’altre vite, come fa qui l’autore di questi meravigliosi Fogli innamorati, che sembra essersi impossessato degli accenti e delle parole più varie,appartenute a grandi poeti del passato, a Saffo, Omero, Michelangelo, fino ai più moderni che noi risentiamo dentro le sue parole, ed essersi legata indissolubilmente a questi echi che ritornano in varie prospettive e fanno sì che anche quando si abbia a che fare con quanto di più irriducibilmente unico ci sia, il sentimento d’amore appunto, in fondo non si faccia che ritagliare il linguaggio degli altri.
Fatiha Morchid è maestra di questo, e diventa difficile sottrarsi ai suoi sortilegi, tant’è vero che mi sono arreso ad un certo punto a questa sua piena capacità di strazio e canto, sono entrato dapprima timidamente poi sempre più fatto ardito in questa finzione acuta e arguta, vivace e dolorosa insieme, e sono così diventato anch’io personaggio fra i personaggi, attore insieme ad altri attori.”Inciespico nel lembo della notte/delle cifre del corpo ho la mia veste/che mi ripara/ dal tuo vento//O stella svanita”.
Mi sono trasformato e finto nel ruolo di destinatario delle cifre amorose, come ogni lettore di poesia lirica dovrebbe farsi, e ho come dire “vissuto” questa retorica, sentito la sua artificiosa bellezza, il suo battere fugace di ali di Farfalle, come nella sezione del libro apposita. Ho così partecipato come quel lettore descritto da Borges al patrimonio del testo, alla sua “scrittura”, e chissà se un giorno, quando la potente suggestione di questi versi si sarà ben ficcata dentro di me, io non possa rispondere con altri versi ed entrare nello spazio di questo teatro col mio tessuto di parole a rispondere al loro gioco e giogo meraviglioso.
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Fogli innamorati di Fatiha Morchid
Valeria Di Felice
«L’erotismo è l’approvazione della vita fin dentro la morte, e ciò tanto nell’erotismo dei cuori che nell’erotismo dei corpi.» (G. Bataille, L’erotismo, 1957)
Chi crede che l’Amore sia solo immaterialità, idealità, non riuscirà mai a cogliere le vibrazioni della sua vera essenza. La sensorialità, con l’attraversamento di mondi corporei, riconosce la presenza dell’altro e la riveste di una carica erotizzante che è immediata apertura alla vita.
L’erotismo è una forza che abita nella coscienza dell’uomo e che mette il suo essere in questione. Il corpo non è lacerazione cartesiana dell’unità tra carne e spirito, tra forma e sostanza, ma è integrità, pienezza, compenetrazione.
In Fogli innamorati (versione italiana tradotta dall’arabo con rigore e allo stesso tempo con sensibilità letteraria da Reddad Cherrati), la logica del discorso ordinario lascia il posto alla parola poetica per intraprendere itinerari inusuali, non convenzionali, che meglio si addicono alla scoperta della pulsione d’amore e il corpo è vissuto come centro di irradiazione che, con le sue nudità, le sue mimiche, le sue fragranze, trascende e assorbe l’individuo per condurlo nella direzione del Senso.
Fatiha Morchid riversa nella poesia la sua attitudine all’Amore, sia quello sanguigno, passionale, che si tinge dei colori più acri del tormento, sia quello caldo, fecondo, rasserenante. Il rapporto d’amore è descritto come sconvolgimento di sé, come reciproco donarsi e riflettersi, come rivelazione della propria identità che riconosce le proprie sembianze soltanto scoprendo quelle dell’Altro. Il cerimoniale delle relazioni sentimentali è colto attraverso il potere icastico dell’immaginazione figurativa e soprattutto attraverso una sensorialità piena e inebriante in grado di mobilitare le potenzialità espressive dell’essere-uomo.
Ciò che emerge dalla lettura dei versi non è una coscienza atrofizzata che riduce il corpo a “oggetto tra gli oggetti”, ma è disponibilità vertiginosa verso una sensibilità percettiva che si fa interprete del desiderio, inteso come slancio alla vita, ricerca del sé e dell’altro, elevazione verso un mondo emotivo in sospensione ricco di echi, derive, movimento. «Amara/ è la solitudine della nave/ violenta è questa immensità/ ardente è/ la mia brama di te»; «Porto il tuo tatuaggio/ tra le pieghe del cuore/ come si spegne l’ardore/ di colui che nasce/ ad ogni battito?»; «Dall’erotismo/ del tempo fugace/ sottraggo un brivido/ per non morire/ di quiete.»
Attraverso uno psicologismo raffinato e sensuale, la poesia di Fatiha Morchid evoca scenari in cui il brivido d’amore sconvolge l’Ordine e incrina le certezze dell’Io. Ma è grazie a questa fenomenologia d’amore che l’Io lirico esplora il sé e si apre al mondo della vita assaporando, con toni ora piacevoli e fecondi ora acri ed ansimanti, i sapori delle sue fragranze.
Il soggetto si fa scrittura della voce, del corpo, dell’immaginario, della passione e anela all’infinito. Per la sua vocazione ambigua, sfuggevole, perturbante, il linguaggio poetico è esso stesso “discorso amoroso”. Quando la parola tace, il silenzio, fatto di pause, cesure, rallentamenti ritmici, induce all’ascolto, alla riflessione, al discernimento interiore.
La scrittura d’amore si inebria del respiro della natura e, attraverso la sua sonorità, la sua intonazione, la sua intensità, volge verso un enigmatico universo emotivo dove il maschile e il femminile non si sovrappongono, ma si com-pongono (sym-bàllein) in un dialogo che abita la reciprocità di sguardi tra l’Io e il Tu.
L’intenzione poetica accoglie le fugaci impressioni con cui il paesaggio si offre agli occhi del poeta e sembra riecheggiare le movenze della natura, con i suoi fruscii, i suoi chiaroscuri. Svincolata dal ruolo marginale di cornice descrittiva, la natura si accorda con un’ermeneutica dell’amore e una metafisica dell’eros in grado di riprodurne gli afflati ora armoniosi ora tormentati, ora nostalgici ora speranzosi.
Nella natura è racchiusa una verità metafisica che presuppone segrete affinità, sottili corrispondenze, tra il paesaggio esteriore e quello etereo, invisibile, che sprofonda nelle istanze più iridescenti dell’uomo. Basti pensare al simbolo della farfalla che allude a una trasformazione, a una rinascita, alla delicatezza di una fase liminare oltre la quale si sperimenta un’altra condizione, quella della maturità. O ancora la rosa, che con la sua grazia e fragilità, esprime il conflitto di una spiritualità, che si lascia affascinare dalla sua essenza, vulnerabile e allo stesso tempo pungente. «Una rosa/ sboccia precocemente nella mia mano/ come posso proteggerla/ dai venti del nord?/ Se chiudo la mano/ si seccherà/ e se l’apro/ scivolerà in balìa del vento delle domande./ Una rosa/ temo che si ferisca con il suo profumo/ e con la brezza del suo fascino/ mi affascina la mia estensione nella sua mano/ mi fa soffrire il mio sdoppiamento.»
L’ultima parte del libro, I colori del turbamento, si fa esplicita rivelazione di questo indissolubile legame tra la natura e l’uomo: lo sguardo poetico è colto attraverso l’ispirazione pittorica e si riversa , in un gioco di colori e di tele, in un paesaggio che, proprio come il foglio, non è semplice immagine o visione, ma proiezione infinita del sé, è atto di estroversione e sconfinamento della propria energia vitale.
Il paesaggio reale, con le sue rocce, le sue onde, la luna, il mare, le montagne, trascolora sempre in una rappresentazione simbiotica del paesaggio interiore e ne ripercorre gli itinerari, i meandri, i crocevia. «Colori mesti/ inondano la geografia di un quadro/ palpita/ nel cuore del tempo/ un urlo/ nel quadro/ del mio cuore/ giace una tristezza/ d’iridescente azzurro.»
In questo altalenare di emozioni, il “foglio innamorato” mette a nudo la natura della nostra essenza, rivelandone l’eccesso, l’insolito, lo sconvolgente, e si trasforma in linguaggio dei sensi, ricerca sofferta ma edificante, in esperienza sublime che raccoglie gli impeti di un’anima che pulsa di vita, come se la sua “vela” non fosse altro che “un foglio sparpagliato dal vento”.
Rivista “PELORO 2000”, A. XIV n.2, aprile-maggio 2010, diretta da Domenico Femminò, pp. 10-11.